Lo scialpinismo salverà la montagna. L’avevo scritto qualche giorno fa, alla vigilia dei campionati mondiali di scialpinismo in terra Svizzera, in un post su questa pagina.
Cercavo di individuare la metafora della salvezza della montagna che passa attraverso la pura e arcana bellezza, dura e innocente come la roccia innevata, in un percorso a ritroso, fra dolenti memorie passate e l'immutato incanto della montagna. Non vi era nemmeno, comequalche benpensante potrebbe additare, una forma di retorica dottrinale, nel senso di benevolenza o espiazione degli errori fin qui compiuti, ma il sentimento di un mondo locale, altro dal localismo, che cerca di riappropriarsi delle proprie radici più profonde. Si sente nell'aria, si percepisce sulla pelle, si annida nei pensieri. Abbiamo abbandonato l'abbraccio della montagna per inseguire il moplen. L'uomo di montagna, artigiano del legno, che ricavava le forme del suo essere artista per necessità, nutrendosi e arricchendosi spiritualmente di questa arte, ha iniziato il suo cammino verso l'oblio. Poi è arrivata la fase dei barbecue domenicali, come se la pioda ricca di grassi, con tanto di benedizione di rosmarino, fosse, non solo, il riscatto dalla povertà, ma in qualche modo il rito assolutore dal peccato commesso: aver lasciato che le fatiche e le conoscenze del passato appartenessero a altri e non a noi. Ora è iniziato una nuovo rinascimento. Il ritorno all'essenza della montagna come metafora dell'esistenza. “Del doman non v’è certezza”, citando Lorenzo il Magnifico, e cosi anche quando ti incammini incontro alla montagna, puoi solo immaginare cosa ci sia oltre. Perché oltre la valle, oltre la roccia, oltre il crinale, o semplicemente dopo la curva del sentiero non sai, con certezza, cosa ti aspetta. E cosi è la vita. Oggi, quando vedo i ragazzi che salgono i pendii invernali con le pelli di foca, con il respiro che li precede, o li vedo correre sui prati estivi andando incontro al sudore, sono sicuro che le anime dei loro nonni riposano finalmente in pace. Perché quel soffio invernale è lo stesso che appariva nelle gelide giornate invernali del passato, quando le carovane di legna e fieno venivano trascinate a valle. Ed è lo stesso sudore che, pigramente, rigava il collo di chi era sotto il carico del fieno secco e profumato. Certo, oggi la fatica è divertimento, nel passato sostentamento. Però l'esercizio della fatica è la prima vittoria alla riscoperta del loro mondo, della loro genesi, la rinascita dentro quello che gli appartiene, e di cui noi, colpevolmente, abbiamo cercato di estraniarli. La toponomastica dimenticata dalla mia generazione è riaffiorata nel loro linguaggio. Conoscono luoghi e nomi che non sapevano esistessero. Sanno i tempi di concorrenza. Riconoscono i pericoli, li evitano, annusando l'umore della montagna. Le cortecce degli alberi forniscono un passaporto identificabile e il mutar delle stagioni li prendono per mano alla scoperta del "foliage" che si carica di pigmenti. Per questo le medaglie vinte ai mondiali di scialpinismo, dal grande Michele Boscacci, e dalla giovane promessa Giulia Murada, sono l’inizio di un percorso che porterà le nuove generazioni a salvare la montagna. E oggi ci appare un orizzonte carico di speranza: una virtù non astratta per la gente di montagna, ma fondata nella concretezza della terra. Graziano Murada